Così bisogna fare i prosciutti, in dolio o in giara. Una volta comprati i prosciutti, taglia via lo zampetto. Per ogni pezzo occorre mezzo moggio di sale fino romano (ca. 4,3 Kg.). Stendi uno strato di sale in fondo al dolio o alla giara e poggiaci sopra un prosciutto, con la cotenna in basso. Copri bene col […]
Così bisogna fare i prosciutti, in dolio o in giara. Una volta comprati i prosciutti, taglia via lo zampetto. Per ogni pezzo occorre mezzo moggio di sale fino romano (ca. 4,3 Kg.). Stendi uno strato di sale in fondo al dolio o alla giara e poggiaci sopra un prosciutto, con la cotenna in basso. Copri bene col sale e sopra mettine un altro e coprilo allo stesso modo. Attento a non far toccare carne con carne. Coprili tutti così. Dopo averli sistemati, ricopri ancora di sale e pareggia: attento che non si veda la carne. Dopo cinque giorni, tirali fuori ciascuno col suo sale e risistemali mettendo adesso per primi quelli che avevi salato per ultimi; coprili e sistemali alla stessa maniera. Dopo dodici giorni in totale, tira fuori i prosciutti, nettali da tutto il sale e appendili lasciandoli esposti al vento per due giorni. Al terzo giorno, lavali bene con la spugna, ungili con olio e affumicali per due giorni. Il terzo giorno ungili con olio misto ad aceto e appendili in dispensa; non li attaccheranno né tarli nè vermi.
Abbiamo trascritto la ricetta di Catone il Censore (II secolo a.C.) per la confezione dei prosciutti, in latino pernae, fatti alla maniera di Pozzuoli. Se dal Sud passiamo al Nord, possiamo ricordare con Varrone (I secolo a.C.) le pernae comacinae, cioè i ” prosciutti alla maniera di Como”. Pozzuoli, Como, solo due esempi di quella che oggi diremmo Indicazione Geografica e che, evidentemente, già i nostri antichi progenitori utilizzavano per segnalare eccellenze e tipicità alimentari di determinati territori. L’importanza che i Romani davano a pernae e petasones(prosciutti e spalle) è testimoniata anche dalla specializzazione dei mestieri: esisteva in fatti il pernarius, cioè il “prosciuttaio”, confezionatore e mercante specializzato in prosciutti.
Il “prosciutto”, che deriva il suo nome dal latino medievale perexsuctus, cioè prosciugato, reso asciutto da salatura e stagionatura, ha dunque una storia molto antica, testimoniata non solo dalle fonti scritte, ma anche dai ritrovamenti archeologici, come quello di un insediamento etrusco nei presso di Mantova (Bagnolo S. Vito) risalente al V secolo a.C. Qui, tra i numerosissimi reperti ossei classificati (oltre 50.000), circa il 60% appartiene a suini, ma con una particolarità: sono rari i resti di arti posteriori. Questo induce a pensare che le cosce degli animali macellati venissero esportate sotto forma di prosciutti.
L’eredità del mondo antico viene raccolta dalle epoche successive, dal Medioevo e dall’Età Moderna, che continuerà a riservare al prosciutto un posto d’onore nell’immaginario della ricchezza alimentare, fissatasi a livello popolare nel Paese della Cuccagna, dove i prosciutti crescono sugli alberi o lastricano le strade.
Il sale è ovviamente l’ingrediente indispensabile per la confezione del prosciutto e da sempre le comunità italiche si sono indaffarate a procurarsi questo prezioso elemento, sia presso le saline costiere, sia presso miniere o affioramenti all’interno. Ad esempio, le saline dell’alto Adriatico (Venezia, Comacchio, Cervia) fornivano il sale per la salumeria delle regioni limitrofe, servite anche da quella grande via d’acqua che era il Po. Ma questo bene prezioso e vitale era spesso soggetto a regimi di monopolio, con forti prelievi fiscali, così che nel tempo molte comunità hanno cercato di procurarsi il sale nei loro territori, ricorrendo alle miniere o, come nel caso di Parma, alle sorgenti termali, ricche di sali, i putei salsi di Salsomaggiore. Il sale così ottenuto aveva caratteristiche conservative migliori del sale marino, tanto che ne occorreva una quantità minore per confezionare i prosciutti; questo sembra uno dei motivi per cui è nato il “dolce di Parma”, oggi noto in tutto il mondo.
Chiudiamo ricordando un uso insolito del prosciutto. Nel De medicamentis di Marcello Empirico (IV-V secolo), si consiglia di usare l’osso di prosciutto di scrofa (pernae scrofinae os), bruciato e ridotto in polvere, come dentifricio. Sembra l’ennesima conferma, se ce ne fosse bisogno, che del maiale non si buttava proprio nulla!